Lucia Bonassisa, con Blab a caccia di intrusi nei cibi degli italiani

Dalle mele del Trentino al pomodoro pachino di Sicilia: lei cerca l’intruso. Non è un quiz della Settimana enigmistica. È il lavoro sulla sicurezza alimentare che Lucia Bonassisa, biologa, fa con il suo Blab, il laboratorio privato di analisi più grande del Centro Sud Italia. Nato tredici anni fa, con 80 dipendenti a oggi, è nella sede storica di Foggia, e a Ferrara e Ravenna. Blab è diventato un punto di riferimento per più di 1500 tra grandi e medie aziende italiane e offre un servizio di qualità con strumenti e tecniche di avanguardia in grado di competere con le multinazionali europee del settore.

In quanto presidio essenziale, perché l’industria alimentare ha bisogno di sblocco di partite di prodotto, il laboratorio sta lavorando anche in tempi di coronavirus. E Lucia Bonassisa, fondatrice e amministratore delegato, ha deciso di versare ai dipendenti della sua azienda, a partire dal marzo scorso, il 20 per cento in più sulla busta paga. Nel suo piano straordinario per il welfare anti Covid 19, oltre all’incremento degli stipendi, l’imprenditrice ha stipulato per i suoi addetti, con una grande compagnia di assicurazione, una polizza studiata per le necessità sanitarie, valida fino alla fine dell’anno. “Poiché siamo aperti in quanto rientriamo tra le attività di servizio alle filiere ritenute strategiche, e ho dovuto chiedere un sacrificio, ho ritenuto giusto integrare gli stipendi. Dovrebbe valere per il periodo dell’emergenza ma stiamo valutando di trovare un modo per conservarlo. Sono un capitano d’azienda. Significa avere sempre collegati il cuore e la testa. Prendere una decisione al secondo, averne la forza, comporta anche una sensibilità più profonda nei confronti dei lavoratori”.

Appena è arrivata l’allerta del governo, Blab è stato organizzato con il più rigido rispetto del decreto sulla prevenzione del rischio: misurazione della temperatura, regole del sistema di ingresso, aumento dello spazio tra gli addetti negli ambienti di lavoro. “Parto da un concetto. Il mio obiettivo è il benessere dei dipendenti. Ho impiegato tre settimane per organizzare nella forma più severa le procedure anti contagio. Dovevamo tenere il virus fuori della porta. Le mascherine per fortuna le avevamo. Facciamo un lavoro per cui le usiamo in tempi normali per la protezione individuale. Abbiamo l’abitudine di fare tante scorte, grazie a una programmazione anno per anno e ne avevamo una provvista che ci ha consentito fronteggiare il problema. Questa procedura ci ha salvato. Coronavirus lo vedo come una brutta storia con cui dobbiamo fare i conti, e sta cambiando il nostro modo di vivere e lavorare. Mi fa paura però non lo faccio vedere; resisto e combatto”.

L’azienda foggiana da quando è nata ha registrato progressivi incrementi. Nel 2019 ha fatturato cinque milioni di euro. “Ci son momenti in cui si cresce di più e anni di stabilizzazione. Abbiamo sempre guardato avanti nel nostro business, anche ora non voglio fermare nessun programma aziendale, persino quelli di investimento. Finora non ho valutato se potrebbero nascere nuove prospettive, ma penso che forse anche qualche piccolo imprenditore che magari prima di questa emergenza non era attrezzato per attività di controlli, in un momento come questo potrebbe chiamarci”.   Nel suo staff Bonassisa conta tra gli altri tre responsabili tecnici di altrettante divisioni e i dirigenti commerciali. Luciano Boschetti, suo marito dal 1997, esperto di economia e management, si occupa della direzione. Blab nasce dalla grande passione di Lucia Bonassisa per i temi della qualità applicata alla sicurezza alimentare e dal desiderio di realizzare un servizio privato che fosse punto di riferimento per tanti imprenditori del food. “Eravamo sul finire degli anni Ottanta, in un momento in cui quella non era ancora una tematica così sentita”.

L’imprenditrice, 52 anni il prossimo 8 maggio, è originaria di Deliceto, un piccolo paese del Foggiano al confine con l’Irpinia. A Foggia, dove la famiglia si è trasferita quando era piccola, ha frequentato il liceo scientifico e poi è andata a Bologna per l’università e si è iscritta a Biologia. “Ho sviluppato la vocazione per la scienza e la ricerca sul cibo che mangiamo, l’acqua che beviamo, l’aria che respiriamo. Sono andata avanti con gli studi sull’inquinamento e la nutrizione all’Alma Mater, sempre a Bologna, con la specializzazione in Ecologia, prevista dal vecchio ordinamento”.

Già prima della laurea entra come stagista nell’Enea e lì prepara la tesi. Ci rimane poi come tirocinante. “Sono stata per tre anni e mezzo, portavo avanti una ricerca specifica sull’inquinamento atmosferico ma ebbi la possibilità di studiare i problemi causati da diversi tipi di veleni e di tossicità dell’aria dovuti a sostanze pericolose come il benzene. Ho incontrato persone che mi hanno dato basi importanti. Dopo l’iscrizione all’albo ho deciso di tornare nella mia Puglia e avevo già in mente cosa volevo, facendo tesoro di quello che avevo visto e imparato. Devo dire grazie anche a un vecchio direttore del centro ricerche della Barilla a Foggia che mi indirizzò sulla parte di analisi dei grani e degli sfarinati”.

Suo padre Domenico, oggi molto anziano, faceva il geometra e lavorava in un’azienda che a metà degli anni Sessanta costruiva le condotte per il gas all’isola d’Elba. A un certo punto si mise in proprio continuando nel settore dei servizi per l’industria petrolifera, diventando un piccolo imprenditore. “Era convinto che avrei potuto dargli una mano nella sua azienda. Io sono la più grande di tre sorelle. Era un posto sicuro. Ricordo che gli dissi: mi dispiace ma non riesco a seguirti nel tuo lavoro”. Ma lui non le voltò le spalle. “Mi disse: non ho ancora capito cosa vuoi fare, però posso aiutarti sul piano economico. Col suo sostegno riuscii a comprare due macchine che mi servivano per far partire l’attività. Un impianto di quelli all’epoca costava 20 milioni di lire. Misi in piedi un piccolo laboratorio di analisi e di ricerca con tre persone, a Foggia, in un condominio. Soprattutto non c’era ancora l’idea dei controlli tra le imprese del posto che si occupavano di trasformazione alimentare. Ho cominciato a prendere contatti, a eseguire attività di analisi e a svolgere piccoli incarichi di ricerca per conto di alcune di esse legate al mondo agricolo. La Capitanata in quegli anni aveva aziende nell’ambito dei semi lavorati per la trasformazione di prodotti ortofrutticoli. Questa è stata la nostra prima esperienza”. Blab mise a punto un metodo di analisi per la ricerca dei residui di fitofarmaci. “Un progetto nel quale riuscimmo a strutturare il metodo di lavoro applicato a uno spettrometro di massa a triplo quadrupolo, uso termini scientifici, gascromatografi e hplc, cromatografi liquidi. Macchine che avevo visto a una fiera specializzata a Francoforte”.

Blab è diventata un’azienda di riferimento per tutta l’agricoltura e i prodotti che in Capitanata venivano trasformati come semilavorati e venduti al Nord d’Italia e in Europa. “Inserimmo il laboratorio in circuiti europei che esistono ancora oggi, attraverso i quali esaminiamo partite di prodotto prima che arrivino sui bancali della grande distribuzione. Siamo a 100 mila test all’anno”. Ha offerto un servizio alle aziende che nel corso del tempo è riuscita a fidelizzare. Intanto la legislazione a tutela della salute si è evoluta e i decreti della Comunità europea hanno  imposto il rispetto dei protocolli e fissato i limiti di riferimento. “Noi analizziamo un po’ tutta la filiera alimentare, dalle materie prime in ingresso fino al prodotto finito. Per esempio della pasta indaghiamo il grano. Se viene sbloccato, entra in lavorazione e trasformato in semola, ancora un’analisi sul prodotto intermedio e poi si arriva alla pasta. Prima della messa in commercio l’articolo viene testato più volte. Poi è l’azienda a stabilire secondo il suo piano qual è il livello del controllo. Noi non abbiamo il potere di bloccare il prodotto. Riceviamo i campioni che i clienti ci mandano come attività di autocontrollo, hanno tutto l’interesse per il loro brand che le cose vengano fatte bene”.

La ricerca e la selezione di addetti specializzati è sempre stato per Lucia Bonassisa una nota dolente. “Per questo tipo di attività non si esce pronti dall’università; noi usiamo metodi di analisi che rispettano determinati protocolli, e bisogna avere conoscenze specifiche di spettrometrie. Ma nel corso degli anni ci siamo strutturati per accogliere i giovani che mostrano attitudine e capacità, investiamo tanto in formazione, cerchiamo di sviluppare le competenze e di trasformarli in tecnici adeguati. Personalmente io ho seguito corsi di formazione sempre mirati a questa tecnica analitica oggi diventata d’eccellenza con gli spettrometri di massa, grandi macchine che fanno una ricerca molto minuziosa”.

Lavorare in un territorio difficile, fare il possibile per trattenere il capitale umano. “Siamo stati tra le prime aziende in Puglia, sei anni fa, a organizzare welfare in azienda. Abbiamo costruito un modello per cui mi sono preoccupata di inserire una mensa, la cui cuoca è una dipendente, dove si mangia cibo sano e di qualità; aree relax con poltrone reclinabili e apparecchio tv, una piccola sala ristoro e uno spazio dedicato alle mamme per i bimbi piccoli e l’allattamento. Ci sono tante donne all’interno di Blab”.

Ma come funzionano i controlli? Il tecnico analista si preoccupa di preparare il campione e renderlo leggibile alla macchina. Questa esegue screening su tutti i possibili inquinanti, e consente di capire di che tipo sono. Residui di fitofarmaci, di glifosante, molecole pericolose. Tutti prodotti della chimica che vengono utilizzati nelle fasi di coltivazioni e lasciano tracce. Accerta se, al di sopra dei limiti, possono essere dannosi per la salute, cancerogeni. E poi indaga su micotossine, prodotte da funghi, su grano, semola, sfarinati, e altri contaminanti come metalli pesanti, piombo, dovuti all’inquinamento atmosferico. “A Ravenna abbiamo costruito un progetto molto interessante. Nel giugno dell’anno scorso ci ha chiamato un’azienda che voleva mettere in piedi un sistema di indagini per rendersi conto subito di un’eventuale contaminazione dei prodotti in ingresso. Abbiamo realizzato un gioiello di analitica e ricerca di patogeni specifici attraverso tecniche rapide di biologia molecolare. Operiamo il riconoscimento attraverso il dna. Ci hanno dato lo spazio, abbiamo attrezzato un laboratorio adattabile ad altre aziende del territorio. Ho già ricevuto richieste”.

Ferrara, dove avviene il campionamento, è nata prima, nel momento in cui Blab è diventato riferimento per stabilimenti del Nord Italia. In questo lungo percorso, Lucia Bonassisa ha avuto due figli: nel 1998 è nato Giandomenico e nel 2000 Giovanni Battista. Entrambi studiano medicina. “Ora sono grandi, però è stata dura; dico sempre che non potendo sacrificare la famiglia, e nemmeno il lavoro che considero il terzo figlio, ho rinunciato alla vita sociale per mancanza di tempo. Piuttosto che uscire la sera per andare a mangiare una pizza, preferivo tornare a casa e stare con i bambini. Per il resto sono in azienda dalla mattina alla sera, ma non mi è pesato perché è stata una scelta consapevole”.  Al cambio generazionale ancora l’imprenditrice non pensa. “Se vorranno ci sarà; lo devono volere loro e io certo non lo imporrò”. Per dare conto all’esterno dell’attività di Blab e dei suoi obiettivi, l’amministratore delegato ha voluto dotarsi di un magazine che tratta tutti i temi della sicurezza alimentare. Un numero zero a gennaio e la prima uscita prevista a maggio con un’intervista al virologo Roberto Burioni. “Facciamo parlare gli esperti su tematiche legate a ciascuno di noi perché si tratta della nostra salute. È una bella scommessa”.

Il Blab Magazine si è dotato di un comitato scientifico che rappresenta il mondo della ricerca accademica e gli imprenditori italiani. Tra gli altri, professori come Gianluca Giorgi di Siena, esperto di spettrometria di massa in ambito alimentare, tecnici come il responsabile qualità della Illy, Luciano Navarini, il responsabile dell’istituto Scienze della produzione alimentare del Cnr, Giovanni Mita, l’ex direttore del Cnr Ispa, Angelo Visconti, Giancarlo Colelli dell’università di Foggia specializzato in tecniche di conservazione in ambito ortofrutta, l’imprenditore campano Giancarlo Calcagni, titolare della Besana, azienda di frutta secca che esporta nel mondo, Giuseppe Calabrese, economista dell’università di Foggia. L’imprenditrice ha una passione: le arti marziali giapponesi e l’isuzu, il combattimento degli antichi samurai. “È uno sport molto meditativo e mi distrae dal lavoro. Ogni tanto per scherzare dico: attenti che prendo il katana, una scimitarra che s’impugna a due mani. Come hobby quando avevo più tempo ho preso la patente nautica a vela e a motore senza limiti. Ho avuto una barca a vela e andavamo con mio marito. Adesso non più”.

Nel 2010 l’imprenditrice ha acquistato la nuova sede di Blab. Ha rilevato dalla Barilla il centro ricerche e analisi di Foggia, il Corial, che era stato chiuso due anni prima. “Io l’ho visto nascere perché all’inizio feci dei lavori per loro. Ci serviva più spazio per le attività che Blab voleva svolgere. Pensai subito: è il posto giusto”. La trattativa partita per caso, si chiuse in fretta. Il centro fu restaurato completamente. La Barilla ne fu molto soddisfatta perché cercava un imprenditore con cui avesse punti di contatto, tanto che inviò un suo delegato alla cerimonia di inaugurazione. “La sede così grande ci ha dato la possibilità di realizzare il piano di sviluppo. Abbiamo tantissimi corteggiatori perché il nostro è un settore ormai preso d’assalto da tutte le multinazionali, ma non ho mai pensato di vendere, mi darebbe una sofferenza atroce. Continueremo a dare la caccia agli intrusi tra la rucola della Campania e le pere dell’Emilia. Questa è un’azienda di servizi per l’industria alimentare italiana, e italiana deve rimanere”.

Fonte: repubblica.it